18 Aprile 2016

Martinelli: “Dormivo con la pistola sotto il cuscino”

La registrazione dell’intervista a Renzo Martinelli, un’ora di conversazione sui misteri italiani, Moro, Ustica, la morte di Mussolini, si è cancellata, è scomparsa dall’elenco dei memo vocali sul cellulare. Qualche appunto a memoria: “Da dieci anni cerco di fare un film sulla morte di Mussolini, ma non riesco a trovare nessuno disposto a finanziarlo.  È un film che può dar fastidio sia a destra che a sinistra, soprattutto a sinistra. Ho una stanza piena di documenti e libri che dimostrano che il duce è stato ucciso dagli inglesi e non dai partigiani, e che il tesoro di Dongo finì nelle mani del Pci di Togliatti, servì a comprare le sedi di partito, le rotative dell’Unità e ad altre spese”. La conversazione è avvenuta sulle scale del cinema Don Bosco a Conegliano, mentre in sala si proiettava in anteprima il suo film su Ustica. Barba da guru, sguardo sempre in movimento, Martinelli mette in fila nomi, luoghi e dettagli precisi, come se leggesse un libro. “Per capire meglio il nostro paese bisogna partire da piazzale Loreto. Il medico legale Aldo Alessiani condusse  uno studio sulle foto che ritraggono Mussolini e la Petacci a testa in giù, le ha messe in fila una dietro l’altra, riguardano diversi momenti della giornata  come si desume dalla diversa lunghezza delle ombre, e dimostrano che non possono essere morti  alle 16,30 del 28 aprile 1945 , cioè il giorno prima, come sostengono i partigiani.
Molti studi e indizi ci dicono che furono gli inglesi a uccidere Mussolini la mattina del 29 aprile. L’ordine sarebbe stato emesso da Churchill in persona per impossessarsi dei documenti compromettenti che dimostravano come avesse  cercato l’alleanza di Hitler per fermare l’avanzata dei russi, un segreto che, se svelato, gli sarebbe costato molto caro a Yalta. L’altro aspetto inquietante della vicenda riguarda il cosiddetto oro di Dongo, cioè le valigie piene di atti di confisca dei beni degli ebrei italiani. Ci fu un’animata discussione fra i partigiani Longo e Neri, il primo sosteneva che quel tesoro apparteneva al partito, il secondo che bisognava restituirlo. A quella discussione seguirono cinque omicidi, tra cui quello di Neri e della sua compagna, e un processo che fu sospeso. Ritengo credibili le tesi di Luciano Garibaldi e di altri storici secondo cui quel tesoro finì nelle casse del partito.”
Renzo Martinelli si definisce un cane sciolto, un regista, un intellettuale che va a caccia di fatti per raccontarli, uno che non guarda in faccia nessuno. “Dopo l’uscita di Piazza delle cinque lune, il film sul caso Moro, nel 2003, ho avuto paura, per due mesi ho ricevuto telefonate nel cuore della notte, c’è stata anche un’irruzione in casa. In quel periodo dormivo con la pistola sotto il cuscino, non credo sarebbe servita a molto ma mi tranquillizzava.  Nel film racconto come stranamente, nella perquisizione di via Gradoli, l’unico appartamento a non essere perquisito fu quello dove era detenuto Moro, e che Morucci mente su come andarono le cose in via Fani.  Perché Morucci racconta che la Fiat 130 che trasportava Moro speronò ripetutamente la 128 e che il commando sparò da sinistra? Ho ricostruito la scena con i miei stuntman, una 130 sposta senza problemi una 128 con il freno a mano tirato. Inoltre se avessero sparato da sinistra, il responsabile della sicurezza Oreste Leonardi che sedeva a fianco dell’autista, e che quindi era coperto, avrebbe avuto la possibilità di uscire e rispondere al fuoco, ma non l’ha fatto perché è stato ucciso da un killer sulla destra. È stata una vera e propria azione di guerra che i brigatisti non sarebbero mai stati capace di organizzare da soli, condotta con la tecnica del cancelletto: all’inizio e alla fine della via si impedisce il passaggio di altri mezzi per avere campo libero. In via Fani c’erano ii brigatisti ma anche persone estremamente addestrate in tecniche di guerra. Che ci faceva alle 9 di mattina in quella via un addestratore dei servizi? Non solo,  Moro cambiava tragitto ogni giorno e lo comunicava alla Questura … evidentemente c’era una talpa. Il suo tentativo di portare i comunisti al governo non piaceva agli americani: in un’intervista a Giovanni Minoli, Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento Usa in materia di terrorismo, all’epoca consulente del  ministro dell’Interno Cossiga, ha dichiarato che Moro andava sacrificato per la salvezza dell’Italia. Dopo l’uscita del film, mi chiamò anche Gelli. Aveva comprato duecento copie da regalare agli amici. Lo incontrai cinque volte a Villa Wanda e mi convinsi che l’Italia non era governata da Palazzo Chigi, nè dal Parlamento. Mi mostrò una foto in cui Perón in ginocchio gli baciava la mano.  Sui memoriali di Moro, di cui nessuno ha mai visto l’originale, mi disse: Martinelli dovrebbe saperlo che la storia si scrive dopo cent’anni e non dopo trenta. Voleva che facessi un film su di lui, gli risposi che l’avrei girato se avesse aperto il suo armadio. L’archivio di Gelli, che chissa dov’è, avrebbe molte cose da raccontarci.”
Siamo sempre sulle scale, in sottofondo giungono le voci e le musiche del film Ustica che si sta proiettando in sala: “Tre anni di lavoro, l’ho girato in Serbia perchè lì la manodopera costa meno e perchè lo stato ti restituisce il 20% di quello che investi e di fatto diventa coproduttore del film. Per me non ci sono dubbi, il 27 giugno 1980, il Douglas DC-9 dell’Itavia con 81 persone cadde in mare a causa di uno scontro con un caccia americano che inseguiva un mig libico che cercava di nascondersi ai radar “coperto” dal DC-9. Dopo mezz’ora sul posto, prima che arrivassero i soccorsi, c’era un elicottero dell’aviazione  americana. Era lì per recuperare il pilota che aveva azionato il seggiolino eiettabile. Nelle immagini dei servizi giornalistici di quei giorni, si vedono i morti che galleggiano in mare accanto ai  pezzi del caccia e si leggono titoli come: Sono molte le prove: caccia Usa ha speronato il DC-9 dell’Itavia. Poi tutto si confuse e si iniziò a parlare di un missile libico, di un cedimento strutturale, di una bomba nella toilette dell’aereo. Da allora al 1995 tredici persone coinvolte a vario titolo nella vicenda, militari e civili, muoiono in incidenti o in circostanze poco chiare.
Devo ammettere che sono un po’ stanco, perché in Italia se non appartieni a un partito a una lobby, fai una fatica bestiale a trovare i soldi, e senza soldi non si fanno i film. E anche la critica ti spara addosso, forse anche perché  non partecipo a cene e ricevimentie. Sto bene nel mio cascinale, tra gli ulivi, con vista su Todi. Il prossimo film è sull’alluvione di Firenze, la storia di un detenuto che evade proprio il 4 novembre del 1966, ma poi tra la libertà e la rendenzione,  sceglie la seconda, diventa un angelo del fango e s’innamora di una restauratrice del crocifisso di Cimabue in Santa Croce. Doveva uscire novembre, per i cinquant’anni dall’evento, slitterà  all’anno prossimo per mancanza di fondi. Andiamo a bere una birra?”
Mentre attraversiamo sulle strisce arriva all’improvviso un’auto e ci scappa la battuta: Non sarà mica dei servizi?. E la registrazione dell’intervista chi l’ha cancellata?
L’intervista a Renzo Martinelli è avvenuta al cinema Don Bosco di Conegliano nell’ambito di ConeglianoMediaStoria, fra le 22 e le 23 del 17 aprile 2016, alla presenza di Umberto Berlenghini direttore della manifestazione patrocinata da History e  Rai Cultura; l’immagine è tratta dal sito martinellifilm.it

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