21 Febbraio 2016

Paolo Coccheri, il cacciatore di briciole

“Sto creando un caffè di accoglienza per la solitudine straziante. L’ho chiamato Capo di buona speranza Umberto D, sarà  aperto a tutti e con volontari addestrati da psicologi”. Ottant’anni il prossimo 3 maggio, l’eremita metropolitano, volontario dell’impossibile, povero per scelta e fiorentino libertario, Paolo Coccheri prosegue il cammino iniziato tanti anni fa: “Fino a quella vigilia di Natale, era il 1978, la mia vita si era svolta fra il teatro e i circoli più esclusivi di Firenze. Giravo per la città alla ricerca di regali per gli amici, quando nella vetrina della libreria del Porcellino, che oggi non c’è più, vidi il libro La Pira cose viste e ascoltate, a cura di Fioretta Mazzei. Sentii che dovevo comprarlo, perché io sento non penso, quando penso non funziona. Nel libro si parlava anche della messa di San Procolo fondata da La Pira, che era andato a cercare i poveri nelle strade. Al termine della funzione, il momento dell’ascolto: ‘Signora Mazzei hanno arrestato mio marito e ho tre figli non so come fare.’ ‘Devo essere ricoverato non ho neanche un pigiama.’ ‘Mi hanno tagliato i fili della luce e ho tre bollette da pagare.’ Fioretta Mazzei, stretta colllaboratrice di La Pira, è anche la donna che negli anni Settanta riuscì a evitare la chiusura dell’albergo popolare, che oggi ospita ogni notte 200 senzatetto. Il dormitorio è intitolato a lei e fu affrescato gratuitamente dal pittore e amico Luciano Guarnieri, allievo di Annigoni.”

Va ricordato che Firenze in quegli anni è abitata anche dalle parole e dagli esempi di educatori e intellettuali come Danilo Dolci, Aldo Capitini, Don Milani, teorici di una religione aperta e della nonviolenza.
Poi c’è un’altra storia che gira per la mente di Paolo, è quella di Mario Tirabassi, l’uomo del sacco misericordioso: infermiere in un ospedale di Roma, finito il lavoro girava la città di notte con un sacco in spalla pieno di indumenti, cibo, medicine. Cercava i poveri sotto i ponti, nei giardini,  alle stazioni, lungo i marciapiedi.
“Un giorno del 1993 entrai in una cartoleria e comprai cinquanta fogli bianchi e un pennarello. L’invito con il quale ancora oggi tappezzo le città è questo: Appello: la ronda della carità e della solidarietà, liberi volontari laici aperti a tutti, inizia un’azione di soccorso e aiuto per gli ultimi che dormono per le stade, abbiamo bisogno di te vieni a darci una mano.”
Oggi ci sono 75 ronde in Italia, 5 in Europa, Vienna, Francoforte, Parigi, Lisbona, Bucarest, e 2 in Africa. Il fenomeno più clamoroso è Bolzano, con 66 operatori pagati e 150 studenti volontari che arrivano da tutto il mondo. L’associazione, come è accaduto in altre città, non ha conservato la parola ronda, che è stata abusata dai leghisti, ma ha scelto di chiamarsi Volontarius. A Napoli è diventata La ronda del cuore.
“A Milano, invece, siamo stati aiutati dall’Angelo invisibile, uno sconosciuto mecenate a cui Feltrinelli ha dedicato un libro. L’Angelo ha arredato a sue spese un centro diurno di 400 metri quadrati.
Per dirla con Carlo Bo, sono un aspirante cristiano; per i buddisti mi comporto con i volontari come Buddha, li istruisco e poi li faccio volare. Faccio quello che sento, senza pretese, senza sperare nei cuori di pietra dei politici, ma soprattutto senza aspettarmi riconoscenza. Chi fa del bene non deve aspettarsela né temere la solitudine. La carità non deve essere ‘pelosa’, si dice qui da noi, calcolatrice, la carità è innanzitutto ascoltare l’altro, è un gesto di attenzione, non è l’elemosina di un euro per mettersi a posto la coscienza.
Domani sarò alla stazione di Santa Maria Novella con i miei volontari per le colazioni di solidarietà: ventisei anni fa mi chiamò il direttore dell’Excelsior e mi disse: Vogliamo darvi una mano. Da allora ogni mattina i volontari passano alle sette in punto  per prendere quattro termos da dieci litri di latte e caffè, e le brioche del giorno prima. Un altro progetto che va avanti è il Pronto intervento speranza: una lista di professionisti e cittadini, fra cui Mario Sberna fondatore dell’associazione Famiglie numerose, pronti ad intervenire per una visita medica, una donazione, una consulenza legale…Vuole sapere dapere dove ho fallito? A Calcutta, dove ci sono quattro milioni di poveri. Con i miei volontari non feci in tempo a percorrere dieci metri che le nostre scorte erano esaurite. Forse dovrei tornare con altri mezzi, una serie di furgoni attrezzati a cucina, le kitchen for everybody inventate da una suora anglicana.”
Matilde Cuomo, madre dell’attuale governatore dello stato di New York e fondatrice di Mentoring, attende Paolo Coccheri per avviare la ronda della solidarietà nella Grande Mela dove si arrabattano 60.000 vagabonds.
Un’altra signora lo cercò nel 2002. Aveva letto sul Corriere un articolo di Mario Porqueddu che raccontava come avesse inventato i “Cacciatori di briciole”, che ogni sera raccoglievano dai gestori dei bar di Firenze il cibo invenduto per distribuirlo ai poveri. Dall’incontro fra Paolo Coccheri,  Cecilia Canepa e suo marito Corrado Passera, nacque il disegno di legge del “Buon Samaritano”, che legalizzò la raccolta per fini umanitari degli alimenti presso locali pubblici, mense scolastiche e supermercati.
Ci salutiamo sotto una pioggia leggera: “La sa una cosa, la scelta della povertà mi ha dato quel che prima mi mancava … la leggerezza.”
L’incontro con Paolo Coccheri nasce da un’idea di Alessandra Zecchi e si è svolto all’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze grazie all’ospitalità di Fabrizio Guarducci.

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