25 Agosto 2019

Da Avila a Dakhla, diario di viaggio

Lungo le mura di Avila, verso il tramonto, soffiava oggi una brezza tesa, costante, il suono di questa città è un silenzio che sa volare, il blu argento del cielo, la forza della pietra, il sollievo della luce, di qui sono passati romani, franchi, arabi, mori, ebrei, il Mediterraneo è vicino. In treno da Madrid uno di quegli incontri perfetti, un’ora come una vita. Domani autobus per Lisbona passando per l’Estremadura.

Avila, 4 agosto, 2019

Territori di confine sono anche gli spazi urbani dove le finestre non hanno volti; nei desolanti multipli dell’ Unité d’Habitation, fotogrammi muti di cemento, pare non si celino esistenze mentre picchia il rodeo dei pistoni dell’autostrada a otto corsie. Qui a Cacem, freguesia che confina con Lisbona, l’oceano te lo puoi solo immaginare se guardi il blu profondo del cielo. Qui, in questo “niente” urbano, vivono ottantamila persone, molte provenienti dai paesi lusofoni dell’Africa, come Angola e Mozambico. Eppure qui, in questa terra che solo confina, l’accoglienza è una missione possibile, l’incontro con l’altro, quando avviene, quando si riconosce, disegna un’umanità più solidale, i muri diventano storie, non più barriera, divisione, accecamento.

Cacèm, Lisbona, 7 agosto 2019

Luis Miguel non ama le fotografie, e nemmeno le parole, preferisce i monosillabi. Quando lavora salta i pasti, qualche sigaretta stretta tra le labbra mentre con le mani continua a fare altro. Fisico da boxeur, barba almeno di due giorni, occhi scuri, sempre in guardia. Le sue mani sono due cortecce. Non c’è qualcosa che quelle mani non sappiano fare, Luis è Vulcano in versione portoghese. La sua officina un caos di scatole, ripiani crollati, ragnatele, fili elettrici, tubi, corde, pneumatici, acidi, vernici, chiavi inglesi, assi di legno, cacciaviti, smerigliatrici, viti, chiodi, bulloni, rastrelli, torni, trapani, saldatrici. Un caos dal quale forse potrebbero nascere anche cetre, tridenti, lance, diademi e catapulte. C’è chi giura che Luis sia capace di smontare e rimontare in pochi minuti cesoie, lavatrici e motociclette. Si racconta anche che lì, a Cacem, in quella officina, in quel caos, si costruiscano nuovi attrezzi per aggiustare il mondo.

Cacèm, 8 agosto 2019

Il quaderno di viaggio Le voyage de Eugene Delacroix au Maroc, con le sue pagine lampeggianti di acquarelli, schizzi, disegni, annotazioni, seduce i visitatori da una delle vetrine della Fundacao Calouste Gulbenkian, il miliardario armeno che regalò il suo patrimonio e le sue preziose collezioni alla città di Lisbona negli anni Cinquanta. Accanto a Delacroix una raffinata edizione di Hodder and Stoughton del 1909, Rubaiyat, che raccoglie i pensieri di Umar Khayyam, poeta, matematico e astronomo persiano che nell’undicedimo secolo scriveva: “Non ricordare il giorno trascorso, e non perderti in lacrime sul domani, vivi dell’oggi e non perdere al vento la vita”. In una sala vicina un quadro di Turner, “Naufragio”, i suoi colori e le sue pennellate sono dinamite per gli occhi, così come i naufraghi abbarbicati ai relitti nel fragore delle onde.

Lisbona, 9 agosto 2019

Dalla parte di Rossio, lungo la salita all’Igreja do Carmo che ha per tetto il cielo, sulla destra c’è una piccola libreria, piccola come i tram di Lisbona. Lui, Saramago, Pessoa, Borges, Tabucchi, se ne sta sulla destra, in un angolo, dietro una cortine di libri. Legge. Occhiali quadrati, lenti spesse come culi di bottiglia, capelli grigiobianchi, potrebbe avere settant’anni come novanta. Stupido turista leggi; per vivere le vite che nessun viaggio può regalarti, per essere te stesso, o un altro, o tante persone, per sognare all’altezza del tuo mistero. “Boa tarde” ho detto e sono uscito, mentre quel signore, Saramago, Pessoa, leggeva un libro antico più piccolo delle sue mani.

Lisbona, 10 agosto 2019

“Quando riabiliti una casa riabiliti una vita”. Il verbo reabilitar in portoghese sta per rinnovare, ripristinare, la traduzione letterale è impropria ma efficace per cogliere il senso della straordinaria impresa sociale creata dal ventottenne Antonio Bello. Just a change coinvolge oggi dieci collaboratori e più di mille volontari nel rinnovamento, nella ristrutturazione delle abitazioni di persone in difficoltà economica e sociale. Accade a Lisbona, quando Antonio è uno studente universitario, appena iscritto a ingegneria, e con un amico suona per le vie del Baixo Chiado per mantenersi agli studi. I due finiscono per raccogliere molti più soldi del previsto e decidono di aiutare prima i barboni, poi le persone che vivono tra mura malsane, sporche, cadenti. Oggi, ogni anno, “riabilitano” 200 case, attraverso tre tipi di volontariato: in collaborazione con le aziende che mettono a disposizione i loro impiegati per un giorno e pagano i materiali, con i mille volontari “fissi” che mettono a disposizione il loro tempo per alcuni anni e con i volontari dei campi estivi aperti ai giovani di tutto il mondo. Il sito è www.justachange.pt

La cosa curiosa è che a pochi passi dagli uffici di Antonio, sotto i piloni del Ponte 25 Abril, nel quartiere di Alcantara, si entra nel centro d’arte e di cultura LX Factory, che occupa le fabbriche di una vecchia zona industriale e dove, tra gli altri, si incontrano il ristorante The Therapist, che accanto a menu vegani propone massaggi, agopuntura e consulenze alimentari, o la poetica libreria Ler Devagar all’interno di una tipografia d’antan dominata da una quattrocolori offset in disarmo. Ler Devagar è una delle più belle librerie del mondo.

Lisbona, 18 agosto 2019

Ogni viaggio ha dei sentieri invisibili, delle mete non raggiunte, degli incontri imprevisti, per esempio padre Ermanno Savarino, da quattro anni alla guida del seminario-casa accoglienza dei Missionari della Consolata, a Cacem, ai confini di Lisbona. Qui, circondati da un parco di sei ettari convivono seminaristi, profughi mussulmani del Sudan, persone in difficoltà. I fine settimana le famiglie africane e portoghesi organizzano feste e incontri, altre persone invece si dedicano a coltivare ottanta orti comuni, e molte scuole portano qui gli alunni per le fattorie didattiche tra animali da cortile, struzzi, pappagalli e pavoni.

Piemontese di Chieri, quarantadue anni, viso affilato e battuta pronta, dopo la laurea rinuncia alla Normale di Pisa alla quale era stato ammesso per un dottorato sulle opere d’arte non più esistenti per entrare in seminario. Il suo sogno è trasformare la quinta (tenuta agricola) di Cacem in una residenza universitaria per chi l’università non se la può permettere.

Dobbiamo entrare nella società in modo nuovo, altrimenti rischiamo di chiudere. C’è una grande ricerca di senso, per la quale gli strumenti della tradizione non sono più sufficienti, servono azioni di condivisione, di collaborazione che rispondano ai bisogni spirituali e sociali.

Ermanno va sempre nella stessa direzione, quella dell’accoglienza, dell’incontro con gli altri, come a Salvador de Bahia, tra i disperati delle favelas, durante il suo anno di noviziato. E se c’è da fare una cosa, dal cambiare la tovaglia a trovare nuove forme di comunicazione per dare voce agli ultimi, non chiederti chi deve farla, comincia tu.

Ma come la mettiamo con l’esistenza del male, della sofferenza, della morte.

Dio lascia l’uomo libero di scegliere tra il bene e il male, e Gesù ci insegna che anche nella più grande tragedia può esserci una bellezza dell’anima, un gesto d’amore. Credere è una scelta razionale.

Ci siamo salutati venerdì scorso a Lisbona tra i banchi del check-in, mentre si allontanava mi sono ricordato del Parco dei Poeti.

Casablanca, 19 agosto 2019

Ventotto ore di autobus, Casablanca-Dakhla, per raggiungere il Sahara nel profondo sud del Marocco ai confini della Mauritania. Non ci sono toilette a bordo dei bus della CTM, le televisioni sono spente, di musica e annunci degli chauffer non c’è traccia, ma il cinemascope del Sahara funziona. Scorrono il rosso dei terreni e delle montagne intorno a Marrakech, poi le distese lunari dalle parti di Agadir, giù fino a Tiznit, Tan Tan, Laayoune con le sue case in argilla rosa che sembrano degli igloo, e poi le dune e le file di cammelli nella provincia di Boujdour. L’autobus ferma nel nulla di una stazione di servizio, ma anche questo nulla, come a Cacem, è popolato di storie che si incrociano in un bar scalcagnato; qui il batbout, il pane a forma di tigella, e il mesmen, quello sfogliato, è preparato e cucinato da un gruppo di donne davanti a te. Qui la corrente e l’acqua non arrivano fino alle cinque del pomeriggio, per caricare i cellulari si usano dei pannelli solari tascabili. Infine Dakhla e la spiaggia del chilometro 25, questa la distanza dal centro della città, con un’esplosione di vele colorate nel cielo, quelle dei kitesurfer, mentre alle spalle rocce e dune si confondono nel vento sabbioso. Il tempo non è volato, si è congedato… dopo le prime ore non guardo più l’orologio, entro in uno stato di dormiveglia con gli altri passeggeri, fatto di sorrisi, sbuffi, attese, assopimenti, lenti risvegli, fermate e ripartenze, odori, squilli di cellulari e notifiche social, conversazioni di cui non si capisce nulla e altre di cui si afferra il senso, confessioni di viaggio, collane di pensieri, brani di sogni, storie di confini da raggiungere, e qualche sobbalzo nella lettura, come Lisbon Revisited di Alvaro de Campos, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa: Nada me prende a nada. Quero cinquanta coisas ao mesmo tempo. Anseio com uma angustia de fome de carne O que nao sei que seja

Definidamente pelo indefinido… Durmo irrequieto, e vivo num sonhar irrequieto...

Dakhla, 22 agosto 2019

Aeroporto di Casablanca, sono le due del mattino, riguardo le foto, molte quelle del Sahara. Questa mattina l’aereo è decollato da Dakhla sopra una pista circondata di sabbia e piccole dune, come quando nevica solo un colore avvolgeva ogni cosa. Il deserto è un respiro profondo, un abisso di forme diverse, un’amnesia potente, un mondo senza specchi, riflessi, punti di fuga, tutto è lento come al risveglio o nel dormiveglia, nel deserto Narciso non può morire perché non si riconosce, non può innamorarsi disperatamente di quel sé che crede sia un altro inavvicinabile. Nel deserto, in quel silenzio senza strade, tintinnano i profili di inaspettati desideri, il vento non smette mai di accarezzarti, a volte più forte ti alza in volo, ti perde e ti ritrova in nuovi viaggi.

Casablanca, 25 agosto 2019

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