Voglia di pensare, d’incontrarsi, di cercare nuove biblioteche, di dialogare, di costruire granai per gli inverni a venire, di impiegare “il tempo nella conoscenza che resta uno dei caratteri migliori dell’umanità” come scriveva Dario Oliviero su Repubblica venerdì scorso, di scansare la banalità dell’informazione dei falsi sillogismi, degli attacchi ad personam, delle violenze verbali, delle retoriche contabili e statistiche, del teatrino delle parti al quale nessuno ha la dignità di sottrarsi. Insomma voglia di respirare parole nuove. È in questo desiderio differente e di sguardi di-versi e tangenziali che ci siamo ritrovati al Lingotto, eravamo tanti e non siamo rimasti delusi.
TARLI E CASTORI
“Dall’approvazione della Costituzione da subito si sono messi al lavoro dei tarli per bucarla, per sostituire la democrazia che nasce dal basso, a una democrazia spenta dall’alto”. Metafora entomologica di Gustavo Zagrebelsky nell’incontro “La biblioteca di Raskolnikov” (l’antologia curata da Simonetta Fiori, autori Nicola Lagioia, Elena Cattaneo, Luciano Canfora, Anna Foa, Aldo Schiavone, Marco Revelli, Franco Cardini e Gustavo Zagrebelsky). Uno degli aspetti inquietanti della riforma presidenziale scritta dalla destra è la previsione di un premio di maggioranza al partito che vince le elezioni. Questo significa che in parlamento quella maggioranza sarà in grado di eleggere anche il Presidente della Repubblica, bucando, tarlando, uno dei pilastri costituzionali: la funzione di garanzia e di controllo super partes del Presidente della prima carica dello Stato. Ai castori in sala e fuori il compito di costruire argini alle derive anticostituzionali e autoritarie. La vera cultura mantiene la capacità di indignarsi, è antieroica, cosmopolita, antifascista e tollerante. Non si lascia pietrificare dallo sguardo di Medusa, come ricorda la bella poesia di Primo Levi dedicata agli amici Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern: “Ho due fratelli con molta vita alle spalle, nati all’ombra delle montagne. Hanno imparato l’indignazione,nella neve di un paese lontano,ed hanno scritto libri non inutili.Come me, hanno tollerato la vistadi Medusa, che non li ha impietriti.Non si sono lasciati impietriredalla lenta nevicata dei giorni”.
PERDERSI
Pensavamo poi di riuscire tra sale rosse, azzurre e amaranto, imbottigliamenti di prenotati e non prenotati, ingorghi labirintici alle toilette, tè bio e panini al Lerdammer, di passare da Massimo Cacciari, autore di Metafisica concreta (Adelphi), Alessandro Barbero,La storia immaginaria, di metterci in viaggio con un Milione di storie con Marco Polo e Rustichello da Pisa (Giordano Tedoldi, Marsilio), di sognare con l’intervista a Antoine Gallimard, di Essere dissidenti oggi da Václav Havel a Alexander Navalny e Narges, o sfiorare con lo sguardo di Salman Rushdie, autore di ‘Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio’ (Mondadori). Anche Le Opere di Marx ed Engelsin 50 volumi per la prima volta in italiano erano in scaletta, ma poi ci siamo persi nelle pagine Perdersi di Annie Ernaux (L’Orma) e nella Grecia di Pericle, Tucidide, Senofonte, Aristotele,raccontata da Luciano Canfora, ‘Il fascismo non è mai morto’ (Dedalo) e di ‘Dizionario politico minimo’ (Fazi). Leggere Senofonte e Aristotele aiuta a comprendere che la parola democrazia – che non esiste nella lingua latina – (demos popolo, kratia potere) e la parola libertà, eleutheria, sono storicamente antitetiche. La prima è il tentativo dei poveri, i poneroi, di contare qualcosa e non corrisponde a un ordinamento ma a un’istanza. La seconda è la facoltà di scelta, il potere di decidere proprio dei ricchi, i chrestoi.
ISRAELE SOCIALISTA
Con la sua chioma leonina e sapere infinito ha ricordato come è nato Israele. I voti determinanti dell’assemblea generale delle Nazioni Unite nel1947 furono quelli del blocco sovietico: Urss, Bielorussia, Ucraina, Polonia e Cecoslovacchia. L’Inghilterra si astenne. I fondatori erano militanti e perseguitati antinazisti che guardavamo al socialismo jugoslavo come loro orizzonte, un modello ispirato più all’autogestione che al dirigismo sovietico. Non è un caso che inventarono quella forma originale di comunità agricola che è il kibbutz, parola totalmente scomparsa dalle cronache. Giordania e Egitto controllati dall’Inghilterra furono primi che attaccarono Israele, che si salvò grazie all’aiuto di Stalin e dei cecoslovacchi. “Poi le alleanze sono cambiate e i palestinesi sono diventate le vittime innanzitutto dei cugini arabi che li hanno massacrati in Giordania e in Libano a Sabra e Shatila. E oggi il rais dell’Egitto Al Sisi chiude i confini e li lascia morire di fame a Rafah. La dura realtà è che i primi a tradirli sono i vicini paesi arabi”.
I MATTI DI GORIZIA
Ero in seconda media quando correndo in bicicletta tra le campagne goriziane in compagnia dell’amico Martino li vidi oltre il filo spinato, camminavano uno dietro l’altro con i camici bianchi, lungo un muro e alto rabberciato. Erano i matti del manicomio di Gorizia liberati da Franca Ongaro e Franco Basaglia, autori tra gli altri di L’istituzione negata, La maggioranza deviante, Crimini di pace. La sua terapia della libertà, le sue posizioni antistituzionali, la sua disobbedienza, è stata ricordata in un intenso incontro dalla figlia Alberta, dalla nipote Silvia Jop e dall’allievo Benedetto Saraceno. Prese servizio il 16 novembre 1961 al manicomio di Gorizia. All’ispettore capo degli infermieri Pecorari, che gli sottoponeva per la firma il libro delle contenzioni rispose: “E mi non firmo”. Primo gesto di di negazione della psichiatria, di volontà di non essere complice della violenza istituzionale. Lo spettro dell’istituzione si è palesato anche durante l’incontro con l’ottuso divieto a entrare nella sala per una decina di persone costrette ad origliare dagli ingressi. “Non si può stare in piedi, solo seduti”. A loro si è rivolto Benedetto Saraceno invitandoli a compiere un gesto di ribellione, a disobbedire, a essere basagliani di fronte a un divieto privo di senso, se non quello di affermare il potere di decidere chi sta dentro e chi sta fuori. Ma nessuno ha disobbedito. Quanto è difficile dire no, scovare nelle nostre anime l’energia e la dignità di opporsi.
LA POESIA DI REFAAT ALAREER
Felicia Kingsley chi è costei? Lo chiediamo a una fila di mille ragazze in coda tra il padiglione tre e il padiglione quattro. Ci guardano come se i marziani fossimo noi: “autrice di romance e commedie romantiche, trentasei anni, modenese, nel 2023 ha venduto un milione di copie”. Sembra uno scherzo ma non lo è. Non era nel nostro programma della giornata Felicia Kingsley, né riesce ad entrarci, tra Stefano Mancuso, ‘Fitopolis, la città vivente’ (Laterza), Un racconto è come un bacio veloce, nel buio, ricevuto da uno sconosciuto, lezioni di scrittura con Guido Catalano, e Eshkol Nevo, Legami (Feltrinelli Gramma) con Francesco Piccolo, Annabelle Hirsch, Una storia delle donne in 100 oggetti'(Corbaccio), Ilpiù grande giornale del mondo con Jill Abramson e Francesco Costa. Nemmeno noi siamo riusciti a entrare nelle sale prese d’assalto ore prima e gestite più per escludere che per includere, caratteristica propria di molti altri festival e tutti tacciono. Quando arriva qualcuno da fuori si fa spazio, lo si ospita, vale per gli amici che arrivano all’improvviso a casa, per chi arriva da lontano, e per chi attraversa il mare.
La dialettica “istituzionale” e di marketing del chi è dentro e del chi è fuori non ci ha abbandonati nemmeno all’uscita, dove pensavamo di poter essere fuori, ma per poco siamo rimasti dentro fermati da un cordone di sicurezza delle forze dell’ordine schierato per una pacifica manifestazione “Free Palestine”, persone che la forza e il coraggio di dire no l’hanno trovato. “Writers say stop bombing Rafah” dice un manifesto in mezzo alle bandiere che sventolano e agli sguardi appassionati di chi lotta per un mondo più giusto. “Non accetteremo di rimanere fuori da questo posto, non possiamo accettare che si schieri la polizia a difesa di una salone pieno di libri, noi non ci fermeremo mai finche la Palestina non sarà libera”, “150 giornalisti uccisi, trentamila persone uccise sulle quali il Salone è riuscito a dire nulla”. In sottofondo Casa mia di Ghali e poi la lettura dei versi di Refaat Alareer, poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata alla Islamic University di Gaza, appassionato di Shakespeare, ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023 insieme ad altri 7 membri della sua famiglia, durante un raid israeliano che ha colpito la sua casa.
“Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po’ di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell’attesa che suo padre
morto all’improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore
Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia un racconto!
L’ultima persona che incontriamo è un altro dissidente, Giacomo Matteotti nel murales di TvBoy “Per non dimenticare”. Mai.