27 Giugno 2024

Nato dal fuoco

«Voleva essere sepolto a Bassano del Grappa accanto agli argini del Brenta, dove sono sepolti alcuni suoi amici della Croce rossa americana. Settant’anni fa non hanno dato il premio Nobel a un americano ma a un italiano creato dal fuoco». Uno dei passaggi più toccanti della serata voluta da Martino Zanetti presidente del Gruppo Hausbrandt con John Hemingway, nipote del più famoso Ernest. Un incontro condotto con garbo da Valentina Gasparet nella tenuta ColSandago in provincia di Treviso. Un viaggio che ha toccato libri e luoghi. Innanzitutto il Veneto, con il grave ferimento subito a Fossalta di Piave. «Il maggiore vicino a lui è morto sul colpo, era 1’8 luglio 1918 – ha raccontato John. Stava guidando un’ambulanza dell’American Red Cross. Rischiò di morire dissanguato a causa delle centinaia di schegge che lo colpirono alle gambe. Aveva solo 19 anni anni e credo che quel dolore e quello schock non lo abbiano mai abbandonato. Zio Lester mi raccontava delle cicatrici che aveva visto sulle gambe di Ernest mentre pescavano al largo di Key West. Sospetto che soffrisse di stress postraumatico e che le fragilità psichiche che già circolavano nella nostra famiglia abbiano trovato terreno fertile: mio padre era bipolare, mia madre schizofrenica, il bisnonno e zio Lester si suicidarono». Una Grande Guerra descritta nelle pagine memorabili di Addio alle armi e di Di là del fiume e tra gli alberi, di cui ricordiamo breve passaggio: “Il colonnello alzò gli occhi a guardare i giochi di luce sul soffitto, erano riflessi in parte dal canale, facevano movimenti strani ma costanti, mutevoli com’è mutevole la corrente di un corso d’acqua dolce che resta li continuando a mutare sotto i movimenti del sole”. Un lo modo perfetto per introdurre il tema della scrittura e della vocazione letteraria di John, autore tra gli altri di Una strana tribù – Memorie di famiglia e del noir Ron Echeverria: a Miami story. “Intorno al 13 anni ho capito che mi piaceva scrivere, mentre leggevo Per chi suona la campana. Ricordo che un giorno mio zio Lester arrivò alle spalle e mi disse con il suo accento di Chicago che il nonno aveva scritto quel libro per tipi come me. Non potevo desiderare un sostegno più grande e nello stesso delicato da parte di un adulto nel confronti di un adolescente. Ernest era un genio e un poeta della narrativa, aveva l’ossessione della perfezione della scrittura, della ricerca della verità. Ogni frase doveva essere rigorosa, tersa, immediata, ogni parola al posto giusto, ogni espressione corrispondente e coerente alla storia narrata. Italiano nell’animo, cercava la bellezza. Una volta, nel 1919, scrisse all’amico James Gamble: “Ho così tanta nostalgia dell’Italia che quando ne scrivo viene fuori quel non so che di speciale che si riesce a dire solo nelle lettere d’amore”. “E di lettere d’amore ce ne ha lasciate tante” ha sottolineato Valentina conducendo per mano il pubblico a Lignano Sabbiadoro, dove Ernest Hemingway arrivò il 15 aprile del 1954, in compagnia della moglie a bordo della Lancia Aurelia della famiglia Kechler. Raggiunta la spiaggia Hemingway, affascinato dai caratteristici canneti, dalle pinete selvagge e dagli isolotti sparsi tra le onde, pronunciò la celebre frase “Ma questa è la Florida, anzi è la Florida d’Italia!”, per una certa somiglianza con il panorama delle Everglades. Alla domanda da quale libro cominciare a leggere Hemingway, John ha risposto senza esitazioni, “da I quarantanove racconti” e da Il vecchio e il mare. Poi, off the record, si è sbilanciato sull’attualità: “A Gaza è in atto un genocidio, una guerra scatenata da Netanyahu per non perdere il potere. E per quanto riguarda Putin dico all’Europa, all’Ucraina e agli Stati Uniti: Non scherzare con l’orso se no ti mangia”.

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