21 Settembre 2024

Lo chiamavano Tempesta

Mi hanno chiesto, nella Giornata internazionale della pace, un affresco di Giacomo Matteotti ma non so dipingere, quindi sarà questa solo una pennellata prima della lettura dell’ultimo discorso in Parlamento del 30 maggio 1924 nel quale denunciò con forza i crimini e i brogli elettorali dei fascisti. Non era la prima volta che interveniva a viso aperto: in un’assemblea comunale del 1915 chiamò “assassini” i consiglieri favorevoli alla guerra e lo spedirono per tre anni in Sicilia. Un’altra volta lo caricarono su un camion in un paesino del Polesine, Castelguglielmino, e lo presero a bastonate. Due giorni prima, il 12 marzo 1921, in Parlamento aveva denunciato quello che stava accadendo nel paese:
“Nel cuore della notte, mentre i galantuomini sono nelle loro case a dormire, arrivano i camion di fascisti nei paeselli, nelle campagne, nelle frazioni composte di poche centinaia di abitanti; arrivano accompagnati naturalmente dai capi della Agraria locale [l’organizzazione dei proprietari terrieri], sempre guidati da essi, poiché altrimenti non sarebbe possibile conoscere nell’oscurità in mezzo alla campagna sperduta, la casetta del capolega, o il piccolo miserello Ufficio di collocamento. Si presentano davanti a una casetta e si sente l’ordine. Circondare la casa. Sono venti, sono cento persone armate di fucili e di rivoltelle. Si chiama il capolega e gli si intima di scendere. Se il capolega non discende, gli si dice: Se non scendi ti bruciamo la casa, tua moglie e i tuoi figliuoli. Il capolega discende. Se apre la porta, lo pigliano, lo legano, lo portano sul camion, gli fanno passare le torture più inenarrabili fingendo di ammazzarlo, di annegarlo, poi lo abbandonano in mezzo alla campagna, nudo, legato a un albero! Se il capolega è un uomo di fegato e non apre e adopera le armi per la sua difesa, allora è l’assassinio immediato che si consuma nel cuore della notte, cento contro uno.”
Ma facciamo un salto indietro, per conoscere un Matteotti meno conosciuto, Matteotti oltre ad essere un simbolo dell’antifascismo è un pacifista convinto, un sostenitore delle biblioteche popolari, un fine giurista che si laurea Bologna con 110 e lode con una tesi sulla recidiva, un grande socialista, la sua corrente è quella riformista, quella convinta che si migliori grazie a piccoli passi e alle mediazioni, dall’altra parte ci sono i massimalisti che guardano alla rivoluzione sovietica come loro modello.
Sulla pace nel 1915 scrive: “Per dir male dei tedeschi ci siete già tutti voi, e le infinite sfumature della borghesia. A noi preme solo di dimostrare che gli altri, italiani compresi, non sono meno barbari, non sono meno violatori di trattati, non sono meno oppressori di nazionalità,, per dedurne che la colpa è del sistema, è di tutti gli uomini, non di una singola razza. Quindi chiamiamo i lavoratori contro tutte le guerre, contro tutti i Governi, per tutte le libertà ”.
Segnalo il libro Lo chiamavano tempesta di Andrea Franzoso, ed. DeAgostini

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