Il 27 febbraio 1976 il leader del più grande partito comunista dei paesi della Nato, un milione e seicentomila iscritti e dodici milioni di elettori, rinuncia ai finanziamenti di Mosca e dice a Breznev nel suo intervento al XXV Congresso del Pcus: “Pensiamo che in Italia si possa e si debba non solo avanzare verso il socialismo, ma anche costruire la società socialista, col contributo di forze politiche, di organizzazioni, di partiti diversi, e che la classe operaia possa e debba affermare la sua funzione storica in un sistema pluralistico e democratico”. Voglia di Berlinguer, di impegno civile, di integrità, voglia di Sinistra lunedì sera al Cinema Edera tutto esaurito per l’anteprima di “Berlinguer – la grande ambizione”, il film di Andrea Segre, prodotto indie da Marta Donzelli e Gregorio Paonessa, che ripercorre un tratto di strada particolarmente accidentato della nostra storia.
Da Pinochet a Moro
Dal colpo di stato di Pinochet nel 1973 in Cile, con lo zampino della Cia, all’attentato nello stesso anno contro Enrico Berlinguer a Sofia con lo zampino dei servizi segreti bulgari, al referendum abrogativo della legge sul divorzio voluto da Fanfani, alla strage nera di piazza della Loggia a Brescia, allo “strappo” con Mosca nel 1976, fino al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978 alla vigilia del governo Andreotti, frutto del controverso “compromesso storico” voluto da Moro e Berlinguer.
Andrea Segre ha incontrato il pubblico al termine della proiezione insieme a Giuliana Fantoni, titolare del cinema e di recente nominata presidente della Fice, Federazione italiana cinema d’essai. Il regista veneziano ha raccontato di un film al quale si è lavorato per circa tre anni e mezzo con l’obiettivo di raggiungere la “cima di una montagna molto alta”. Una combinazione di fiction e realtà, l’ascolto di centinaia di testimonianze, il lavoro con i figli e la famiglia, le ricerche d’archivio, la visione di numerosi filmati d’epoca. E di come lo straordinario Elio Germano, nel ruolo del protagonista, abbia saputo connettersi con il personaggio arrivando a riprodurne le espressioni, i gesti e curiose abitudini, come quella di fare ginnastica la mattina muovendo le gambe appoggiato a una scrivania o di usare delle penne a sfera Bic per scrivere.
Lo sguardo esatto
Uno dei pregi del film è lo sguardo esatto, privo di alterazioni retoriche o agiografiche, se fosse una fotografia sarebbe uno scatto di Gabriele Basilico. “Abbiamo provato – ha detto Segre – a non metterlo sul piedistallo, a non trasformarlo in un santino. Abbiamo lavorato di più sui dubbi e capito che il dubbio e la leadership possono non avere direzioni divergenti.”
Gli spaccati familiari raccontano di un padre che dice ai propri figli: “Se rapissero me come hanno fatto con Moro non trattate mai con i terroristi anche se fossi io stesso a chiedervelo”, oppure al figlio seduto a tavola con la kefiah che a proposito del compromesso storico domanda “Ma tu da che parte stai?”, risponde benevolo “Sempre dalla stessa”.
“Questa storia, credo, pone ancora delle domande su cos’è la politica – ha continuato Segre. Una delle differenze con gli anni Settanta è che oggi si è persa la relazione tra società e politica, tra l’io e il noi, tra pubblico e privato, abbiamo in generale rinunciato alla grande ambizione”. Il titolo è un prestito letterario da Antonio Gramsci che nei Quaderni dal Carcere scrive: “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo).
Mario Anton Orefice