Enric Marco negli anni Novanta imbrogliò la Spagna e mezzo mondo da presidente dell’associazione spagnola Amical de Mauthausen, che riunisce i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, ricevendo numerosi riconoscimenti per il coraggio dimostrato negli anni della guerra e la sua testimonianza degli orrori commessi dai nazisti. In realtà non era mai stato in un lager. Un personaggio che Javier Cercas smascherò insieme allo storico Benito Bermejo nel 2005 alla vigilia di una cerimonia per il sessantesimo anniversario della liberazione dell’ex campo di Mauthausen, evento al quale per la prima volta avrebbe partecipato anche il premier spagnolo Zapatero. Nacque così il grandioso e affascinante romanzo storico L’impostore, un’opera che è anche un prezioso saggio sul mestiere dello scrittore e sul rapporto tra menzogna e verità.
Giovedì 15 maggio al Teatro Accademia di Conegliano, Cercas è stato il primo ospite della terza edizione del festival letterario “Una Collina di libri”, per presentare il suo ultimo libro Il folle di Dio alla fine del mondo, edito da Guanda. Un libro su commissione, che fu proposto con sorpresa all’autore, ateo convinto, da Lorenzo Fazzini direttore del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Memoir, saggio, romanzo, sul famoso viaggio insieme a Papa Francesco in Mongolia nel 2023, una visita storica perché era la prima volta che il Pontefice si recava in un paese asiatico e di fede buddista. “Per me è stato più esotico conoscere il Vaticano che la Mongolia, perché ho dovuto lottare contro i pregiudizi, avere uno sguardo pulito sulla Chiesa. La Mongolia è molto esotica, ma il Vaticano lo è di più”, dichiarò Cercas in un’intervista. Tra le righe più toccanti del libro quelle dedicate a sua madre: “Perciò mi sono imbarcato su questo aereo, per chiedere a papa Francesco se mia madre vedrà mio padre al di là della morte, e per portare a mia madre la sua risposta. Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio (definizione storica del santo di Assisi) fino alla fine del mondo”. Arriva in piazza Cima sotto un cielo grigio di nembostrati accompagnato da una sorridente Federica Manzon, direttrice editoriale di Guanda e premio Campiello 2024 con “Alma”, e da Francesco Chiamulera, direttore artistico del festival Una Collina di libri, che citando Calvino dice: “Cercas è un classico che non hai mai finito di dire quello che ha da dire”. La platea dell’Accademia registra il tutto esaurito. Ciuffo ribelle e due occhi ironici che sono pensiero puro, volteggia con leggerezza da Aristotele a Dostojevskij, a Voltaire, dal Concilio Vaticano II al Cantico di Frate Sole di San Francesco, al linguista russo Jakobson, alla filosa Hannah Arendt: “Nel libro ci sono due finali, uno è la risposta del Papa all’enigma centrale del cristianesimo: la resurrezione della carne. Credo che Aristotele sarebbe molto contento di questo finale, perché affermava che le conclusioni perfette sono allo stesso tempo inevitabili e sorprendenti”. Poi rivela il lato privato di Papa Francesco: “Non era un personaggio semplice, era come tutti noi una moltitudine di persone, soprattutto era un uomo in lotta con sé stesso, cosciente delle sue mancanze, dei suoi difetti, dei suoi peccati. Accettò la nomina al soglio pontificio, precisando ‘ma sono un peccatore’, forse voleva dire ‘proprio perché sono un peccatore’. Il ruolo del papa è assegnato ai deboli non ai superuomini, basti pensare a Pietro che prima che il gallo cantasse tradì tre volte Gesù. Era un vero anticlericale, detestava la papolatria e il costantinismo, gli si addiceva la definizione che Arendt dava di Giovanni XXIII, Papa Roncalli: un cristiano sul trono di Pietro”. Tra i motivi del viaggio in Mongolia, la visita ai missionari che incarnano il cristianesimo delle origini: “Impossibile anche per me, ateo convinto, non ammirare questi sacerdoti che abbandonano i loro affetti, le ambizioni, i riconoscimenti della società, per andare a cinquanta gradi sottozero ad aiutare – non a convertire – gli ultimi. Mi viene in mente la figura del Grande Inquisitore, nei Fratelli Karamazov di Dostojevskij, autore amato dal Papa, che arresta Gesù e gli dice ‘Siamo noi che dobbiamo amministrare la tua eredità, gli uomini hanno paura della libertà alla quale preferiscono la schiavitù’. Papa Francesco voleva l’esatto contrario, come credo voglia anche il suo successore Leone XIV pur adottando uno stile più formale, cioè portare Cristo dalla sacrestia al centro del mondo”. Alla domanda di Chiamulera se sia avvenuto in lui un ripensamento nel corso di questa intensa relazione con il Papa, Cercas risponde: “Se dico che mi sono convertito non vendo più una copia, ma se lo dicessi tra quattro anni forse potrei scrivere un altro libro di successo sulla mia conversione. Ho fatto un sogno mentre ero in Mongolia: perdevo l’aereo, imparavo il mongolo e rimanevo nel convento dei Missionari della Consolata”.
Una Collina di Libri vedrà poi alternarsi nel corso del 2025 altri appuntamenti letterari. Il 5 giugno Yaroslav Trofimov, capo corrispondente per gli affari esteri del Wall Street Journal, finalista del premio Pulitzer e vincitore del premio Overseas Press Club, autore di “Our Enemies Will Vanish”, presenterà “Non c’è posto per l’amore, qui” (La nave di Teseo). Poi, il 22 giugno, una conversazione tra due giovani esordienti, intorno al tema “Storie sul confine”: Irina Turcanu, autrice del romanzo “Manca il sole ma si sta bene lo stesso”, le vicende di una famiglia romena tra Bucarest e l’Italia (Marsilio), e Sabrina Zuccato, autrice di “La levatrice di Nagyrév” (Marsilio), che mostra gli orrori di cui è capace la vita domestica e le forme di resistenza alle sopraffazioni di genere nell’Ungheria degli anni Trenta.