12 Ottobre 2025

Eppure il vento soffia ancora

Eravamo tanti ma non abbiamo fatto notizia, perché se non ci scappano i fumogeni e le botte che immagini si potrebbero mostrare?
Quella signora con gli occhiali spessi e i capelli bianchi che dal balcone sorride e saluta sopra una bandiera della pace.
Gli allegri gruppi di boy scout di tutta Italia, le bandiere rosse della Cgil, le tante della Palestina, amici che cantano le canzoni di De Gregori, Rimmel, Johnn Lennon, Imagine all the people…, De André, La guerra di Piero, Bertoli, Eppure il vento soffia ancora, “spruzza l’acqua alle navi sulla prora, sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori, li bacia e non li coglie”.
I campi colorati dalle bandiere arcobaleno ai piedi della Basilica, la street band che agita i nostri passi al ritmo della bossa nova, l’accoglienza lungo la strada di cuori puri che ci offrono pane e olio d’oliva, l’acqua della fontana, un bicchiere di vino, una mela rugginosa cresciuta nell’orto di casa. I ragazzi africani e palestinesi che corrono in discesa e ci vengono incontro le scritte bianche in polistirolo “PEACE”, sono un torrente di gioia e speranza. La variopinta sagoma di una barca a vela con la scritta Global Sumud (che in arabo vuol dire resistenza) Flotilla per dire no a una visione del mondo, a una certa informazione, a una invasione digitale che crea masse di automi obbedienti; no all’Europa che corre ad armarsi, no al genocidio del popolo palestinese, no alla guerra fratricida di Putin e ai cinquanta conflitti che insanguinano il mondo, no a un governo nemico dei giovani, degli studenti, dei malati, dei deboli.
Il camminare senza sosta di duecentomila persone di trentacinque paesi, di ogni età e identità, un battito sospinto dal vento di una forza invisibile, una corrente inarrestabile, una comunione spirituale di chi sa da che parte stare.
Non fermarsi nemmeno in salita per andare oltre la gravità di un quotidiano immerso nella sorveglianza e nella dipendenza tecnologica, riscoprire il contatto con la terra che ci sostiene e non affondarla a calci, camminare per essere vicini e cambiare il nostro, almeno il nostro, sguardo sul mondo.
Il prato verde intenso con la scritta PAX e le sue memorie che ci vien incontro quando lasciamo alle nostre spalle le storie di San Francesco della navata centrale, tre lettere scacciate dai tavoli del potere, calpestate dagli scarponi dei militari, svuotate di senso dai vocabolari della politica e dell’economia, eppure tre lettere pronte a rispuntare tra le crepe dei muri costruiti per opprimere, tra i binari dei treni sigillati per deportare, tra le macerie delle case distrutte dalle bombe.
Quindi non c’erano manganelli e scudi, e deficienti mascherati che spaccano tutto, mancava la possibilità di unirsi nella condanna per gli scontri e le violenze, di specchiarsi nella banalità delle dichiarazioni di partito, di mostrare cosa capita a chi scende in piazza a manifestare. Mancava l’ingrediente fondamentale del potere: la paura.

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