21 Agosto 2020

La cultura dell’accoglienza

Karibu in lingua ruandese significa benvenuto ed è il nome della cooperativa creata nel 2003 da Marie Terese Mukamitsindo. Premiata due anni fa come imprenditrice dell’anno da Moneygram, parla di sé come un’assistente sociale, nulla di più, e dice che nella vita ci sono solo due comandamenti importanti: “Ama il Signore” e “Ama il prossimo tuo”. In una lunga conversazione, tra una coccola e l’altra agli splendidi nipotini, non lancia frecciate a nessuno “perché tutti sbagliamo e dobbiamo capire che anche gli altri possono trovarsi in uno stato di vulnerabilità”.
Famosa l’intervista a Repubblica a seguito delle inique misure sull’accoglienza prese dal Governo in cui dichiarò: “Salvini non è cattivo ma deve darsi una calmata”. Prima che uno scoop, una lezione di umanità.
Padre e marito medici, lei assitente sociale e specializzazione in Belgio, non avrebbe mai pensato di dover lasciare Butare, grande centro nel sud del Ruanda, né di approdare in Italia.
Il 6 aprile del 1994 scoppia la guerra civile che porterà al genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu. Marie Terese scappa con i figli Liliane, Aline e Michel prima in Kenya e poi in Tanzania. In seguito tenta di raggiungere il Belgio, dove vive suo fratello, attraverso la Svizzera, ma al confine la fermano e la invitano a tornare a Roma. Per diversi mesi vive a Tor Vaianica in un container, forno di giorno e cella frigo di notte, insieme ad altri rifugiati. Nel frattempo il figlio Richard, oggi affermato tecnico informatico, e il marito Jotham rimangono in Ruanda.
“Oddio e cosa faccio adesso, ho pensato”, racconta sorridendo. C’erano due problemi da risolvere, entrambi sullo stesso piano: il lavoro e il riconoscimento di rifugiata politica. In Questura i funzionari non credono alla sua storia e il rimpatrio è dietro l’angolo. Allora una mattina Marie Terese decide d’incontrare il responsabile dell’ufficio immigrazione, una donna, a cui chiede di aprire il fascicolo che la riguarda “solo per cinque minuti”. La funzionaria consulta i documenti, si rende conto che nessuno li aveva esaminati e dà il nulla osta.
E il lavoro? Le propongono di fare la badante a Sezze in provincia di Latina, dove per tre anni assiste accaventiquattro un’anziana signora novantenne; vede poco i figli dei quali si prende cura la figlia maggiore Liliane, che oggi è mamma a tempo pieno, dopo aver collaborato per anni con il governo italiano nell’ambito del G8 per l’Africa, e moglie del sindacalista Aboubakar Soumahoro .
Nel frattempo Lei collabora con la Prefettura e diventa consulente del Cir, il Consiglio Italiano per i Rifugiati. Quando nel 2001 il Ministero dell’Interno pubblica il primo bando per la realizzazione di strutture di accoglienza dedicate ai rifugiati e ai richiedenti asilo, propone insieme a un’associazione collegata alla Cisl e al comune di Sezze un progetto dedicato alle donne sole con prole. Il progetto, uno dei primi all’epoca e l’unico firmato da una donna, viene approvato.
Nel 2003, a seguito di una visita della Commissione Europea e dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), e con il sostegno del comune di Sezze, insieme ad altre quattro donne rifugiate fonda la cooperativa Karibu che nei momenti più critici della recente storia dell’immigrazione ha accolto fino a ottocento persone. Nel 2017 si aggiunge la cooperativa Aid (Agenzia per l’inclusione e i diritti ) che applica alla prima accoglienza un modello innovativo. Sostituisce alle grandi strutture come alberghi e caserme, piu facili da gestire e più redditizie in termini economici, una rete di appartamenti nel territorio comunale. Fondata a Latina dal figlio Michel Rukundo, diventato negli anni punto di riferimento per le seconde generazioni, è diretta da qualche settimana dalla sorella Aline Mutesi, giovane mamma anche lei, con un passato di imprenditrice a Melbourne.
Nella conversazione si intrecciano inaspettati sguardi sulla preesistente religione ruandese, che narra di un uomo che muore legato a un albero per salvare il mondo; analogia che portò il re del Ruanda nel 1954 a donare il suo regno a Cristo. Sulla peculiare consuetudine di battezzare i figli otto giorni dopo la nascita ognuno con un cognome diverso. Sulla cultura della gentilezza che insegna a chiedere in modo indiretto, mai ad usare l’imperativo.
Poi si torna al tema oceanico dell’accoglienza perché non basta aprire la porta e i porti. E poi? “Dobbiamo impegnarci di più afferma Marie Terese, non facciamo abbastanza. Dobbiamo costruire percorsi vicini alle competenze, alle aspirazioni, alle passioni delle persone. Per questo insieme a mio figlio Michel e altri partner apriremo nei prossimi mesi un ufficio a Bruxelles”.
Marie Terese Mukamitsindo, una donna che con il suo mondo di progetti aiuta il mondo.
Mario Anton Orefice
(foto archivio Karibu)

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