4 Aprile 2021

Un’arca di solidarietà

La chiamano “la Noè dell’Arca”, perché lei  accoglie tutti, grandi e piccini, con problemi e senza problemi. Capello corto e occhi vispi dietro grandi occhiali, Caterina De Santis va veloce, non ha tempo da perdere: “Mi raccomando non addormentarti in treno che poi perdi la stazione di Cammarata e mi tocca venire a prenderti ad Agrigento”. Lei lo sa che il ritmo lento dei treni trinacresi favorisce “a pinnica”. Nemmeno Pirandello se l’era immaginato un paese doppio, un comune dentro a un altro comune, con un bar, il bar Sicilia dove se prendi il caffe nel dehors sei nel comune di San Giovanni Gemini, se lo prendi al banco sei nel comune di San Giovanni, o case dove i ragazzi quando fanno i compiti  in camera sono nell’uno e quando mangiano in cucina nell’altro. Tutto risale al 1535 quando un signorotto locale istituisce una nuova contea all’interno di Cammarata e la chiama San Giovanni Gemini. Nonostante i due comuni siano mescolati come un mazzo di carte, il referendum per l’unione di quattro anni fa è andato deserto. Quindi l’interrogativo esistenziale che percorre persino ci ci abita da decenni è: “Ma adesso mi trovo a Cammarata o a San Giovanni?”. “Qui non c’era un servizio diurno per disabili, adesso tra i progetti c’è anche la realizzazione di una residenza per il fine vita di questi ragazzi e la costruzione di un ascensore. L’edificio che ospita L’Arca in via Cacciapensieri 75 era una convento dei frati minori francescani. Nel 2001 lo donarono a noi e già ospitava l’altra associazione “Carta vetrata” fondata da Reno e dai suoi amici. Si occupavano di temi scomodi”, racconta Caterina mentre mi accompagna alla falegnameria di Reno che conosce da una vita. È sempre al lavoro: restaura mobili, fabbrica scenografie per gli spettacoli teatrali e scava nel legno oggetti da vendere online sul negozio online SicaniSolidaleShop.com, creato per sostenere L’Arca. Barbetta francescana, sguardo buono e preciso come un laser, ha appena terminato un uovo in legno d’ulivo solcato da un’affascinante crepa riempita con resina trasparente che pare un diamante. Ma ci sono anche maidde e scanaturi, quadri, orologi, bicchieri e bottiglie in legno d’ulivo. “Se fa bel tempo domani andiamo alla montagna, le conosci le nivere? Sono dei buchi coperti di pietre dove una volta si conservava il ghiaccio d’estate. Stava li coperto dal fieno, poi si tagliavano dei blocchi e a dorso di mulo arrivavano in paese per preparare le granite e per tenere il cibo e le bevande al fresco”. La montagna è il monte Cammarata che dà il nome al paese è la più alta dei Sicani. Sulla cima una selva di antenne deturpa il paesaggio e la salute dei cittadini. Reno fu uno dei fondatori di “Carta Vetrata”, la carta vetrata provoca escoriazioni, toglie le patine del quieto vivere. Fa controinformazione sull’inquinamento elettromagnetico delle antenne Rai, Mediaset, Vodafone, e di quelle dell’esercito; parla dell’elettrodotto che passa a poche centinaia di metri dai due comuni, nei quali l’incidenza dei tumori è superiore del venti per cento rispetto alla media siciliana; organizza un incontro per ricordare il giornalista antimafia Peppino Impastato e altri incontri di impegno civile. Poi nel 2010 qualcuno dà fuoco alla macchina di Alessandra Consiglio, presidente dell’associazione  e consigliere comunale. Interviene Rita Borsellino: “non sarà certo con una vile intimidazione che si potrà scalfire l’importante impegno politico, culturale e sociale dell’associazione”. Per una società migliore servono le denunce e le azioni silenziose che contagiano, trasmettono sensibilità e generano il sentimento del Noi. Così negli anni la spinta ideale di Carta Vetrata accoglie quella dell’Arca e viceversa. In via Cacciapensieri 75, in uno dei punti più alti del paese, i pensieri sono tutti rivolti all’incontro e alla creazione di una seconda famiglia per chi porta il sorriso della diversità (arcacammarata.org). Come Rosolino, un ragazzo di trent’anni con la sindrome di Down, campione di ping pong e felice come non mai di salire insieme a noi alla montagna a scoprire le nivere. Il giorno dopo l’appuntamento con Agostino che ha le chiavi della torre del castello  è alle nove e trenta di fronte al tabacchi nel comune di San Giovanni, a due passi da via Suez dove c’è la casa vacanze di Maria, arredata con scale restaurate che diventano appendiabiti, sedie colorate costruite con vecchie cinghie e colori provenzali che sembra di stare al mare. La torre che andremo a visitare  è nel comune di Cammarata, ma le antenne inquinanti, mi ero dimenticato di scriverlo, sono nel comune di San Giovanni, mentre il resto della montagna è comune di Cammarata. Agostino, che è anche il bibliotecario della Biblioteca comunale (di Cammarata) non poteva che arrivare con dei libri, uno dei quali è una straordinaria raccolta di immagini del fotografo Salvatore Trajna nato nel 189, sordomuto dalla nascita ma cresciuto in una famiglia benestante che poteva permettersi, tra le altre cose,  un dentista che all’epoca veniva in macchina da Palermo. Agostino scrive anche per il giornale online Magaze (magaze.it), cronache dai monti Sicani, che ha una sede nuova di zecca, finanziata nell’ambito di un progetto europeo, e uno studio per le riprese e la registrazione dei tg. Nel frattempo ci ha raggiunti Reno e si stabilisce un primato indiscutibile: “La prima notizia del castello di Cammarata  risale al 1145.  Molto dopo, nel 1507,  Federico Abatellis, conte di Cammarata, ottenne da Ferdinando di Borbone il privilegio di edificare in un vicino luogo pianeggiante chiamato San Giovanni”. Passiamo davanti al Municipio, a lato dell’ingresso campeggia un bassorilievo con lo stemma della città: una donna che allatta due serpenti, femme aux serpents, simbolo esoterico presente in diverse chiese romaniche. Narrano le cronache che lo stemma fu imposto da un signorotto locale in segno di spregio per i cammaratesi che avevano osato opporre una strenua resistenza alle sue mire di conquista. E alla chiesa di San Giacomo del XV secolo costruita su una preesistente moschea. Pare l’abbazia di San Galgano in miniatura, con il suo tetto scoperto e le rondini che volano intorno ai nidi, i ciuffi d’erba tra le chiavi di volta. Dalla torre del castello il paese appare come un organo appoggiato alla collina, tra muri bianchi, grigi, in pietra,  qua e là i colori di alcune case suonano come note stonate, un giallo brillante, un bordeaux, una balaustra bianca di San Leone, grondaie in plastica invece dei tradizionali catusi cotti nei forni arabi  della fornace allo Stazzone, impastati con argilla e cereali e poi modellati sul tornio a pedale. Incatusare in siciliano significa incanalare, mentre taliare significa guardare. E taliando tra le colline spunta  una superstrada mai completata perché costruita con materiali inadeguati, un viadotto appeso nel vuoto a lato del paese e un fiume interrato per costruirci sopra dei condomini.  Accade spesso in Italia da Nord a Sud (segnalo Grandi e inutili di Fraschilla, ed Einaudi, e Una città rubata (di chi scrive). Il cielo nel frattempo si copre, soffia un leggero Scirocco e, come dicono da queste parti, è una “giornata mutante”. Solo gli stereotipi non mutano, come quello che vorrebbe i giovani del luogo migranti verso “dove c’è lavoro”. Vincenzo, musicista, uno dei figli di Caterina, dopo tredici anno in Inghilterra, è tornato a San Giovanni e ha aperto la sua scuola d’inglese che oggi conta cento alunni. Verso sera, tornati dalla montagna, in via Cacciapensieri 75 Daniele celebra il rito del cannolo riempito in diretta: “La ricotta la prendo il giorno prima, poi la spacco e la metto in frigo. A mezz’ora dalla preparazione dell’impasto, la copro di zucchero così si “cucina”, diventa morbida. Aggiungo le scagliette di cioccolato e con due forchette mescolo fino a ottenere una crema”. Crema che scende lenta nei cannoli spinta dalla sac a poche davanti ai nostri sguardi golosi.  “E le arance vaniglia le conosci? Sono dolcissime. Qui pensiamo sempre al mangiare, quando vieni in Sicilia inizia il digiuno una settimana prima”, dicono Caterina e Reno. L’appuntamento per l’estate è già una scritta in bold sul calendario Cosa aspettate? Sostenete L’Arca con SicaniSolidaleShop, versando il cinque per mille o con una donazione sul conto corrente IT-19-C-08952-82860-000000-500234.

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