2 Settembre 2021

Afghanistan, where is the love?

Era cominciata male, in stile Far West, pistole alla mano e con l’occupazione in stile veterocoloniale di un paese di cui si sono ignorate storia, società, religione. L’altra volta erano le armi chimiche di Saddam, quella prima i comunisti in Vietnam.
È proseguita peggio con l’impegno di insegnare la “civiltà” e la democrazia. Enduring Freedom (libertà duratura) è finita con la fuga tragica e vigliacca da Kabul che lascia nell’inferno gli afgani, più poveri di prima, meno liberi di prima, più soli di prima
Cosa dovevamo fare? Semplice, dovevamo restare, una volta che decidi di accompagnare un amico in un viaggio pericoloso, in mezzo al deserto o sulle pareti verticali di una montagna, non lo abbandoni a metà strada, non lo lasci precipitare dagli aerei che decollano, non lo fai saltare in aria perché non sei capace di controllare un aeroporto. Avevamo in ogni caso, come paesi occupanti e”liberatori”, il preciso dovere di portare in salvo a casa nostra tutti quelli che in vent’anni avevano collaborato con noi insieme alle loro famiglie e ai loro parenti, qualcosa come un milione di afgani, altro che le autocelebrazioni dei vari leader politici per qualche corridoio umanitario o i lamenti da prefiche sul destino delle donne.
Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d’America, capo della coalizione occidentale coinvolta nella macelleria afgana, in campagna elettorale si è presentato come l’illuminato, il “buono”, quello che difende le minoranze e i deboli. Lo ha fatto con un video che mescolava la famosa “Where is the love” dei Black Eyed Peas con frasi retoriche, in un suggestivo montaggio in bianco e nero, che cominciava con la frase di Elena Baker, un’eroina dei diritti civili: “Give pepole light and they will find the way”. Ma in Afghanistan ha portato il buio totale. È andata come sempre insomma: People killing, people dying, children hurting, hear them crying, can you practice what you preach and would you turn the other cheek…because pepople got me questioning where is the love?
Dov’è l’Onu fondata da cinquantuno nazioni, tra cui Germania, Italia, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, “per preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale”? Dov’è finito tra i fondatori quello spirito di pace dal 1945 a oggi? Zoppica qua e là in una narrazione retorica del potere che lo invoca continuamente ma lo nega nei fatti, un sapere fabbricato attraverso un complesso di pratiche di comunicazione, registrazione, accumulazione e spostamento delle informazioni (M. Foucault, Sorvegliare e punire). Un racconto in cui prima si cantano le gesta di eroi che salvano il mondo dal male (i talebani in questo caso) e portano la civiltà, poi di eroi che hanno sbagliato ma cose buone ne hanno fatte. Per esempio con il raid di rappresaglia di sabato scorso nel quale sono morti sei bambini. Per esempio (dati: Brown University) 100.000 vittime civili negli ultimi dieci anni, 54 miliardi di dollari per aiuti e interventi, in gran parte sprecati a causa della corruzione ; 10 miliardi di dollari per la lotta alla droga, ma la superficie delle coltivazioni di oppio, la cui produzione costituisce l’80% di quella mondiale, è quadruplicata.
“With ongoing suffering, as the youth die young, So ask yourself is the loving really gone…The wars’ going on but but the reasons’ undercover…Where is the love?”
(Foto Reuters/Mohammad Ismail, Kabul, 4 settembre 2013)

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